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La moneta Bizantina

Il sistema monetario creato da Augusto sulla base dei nominali e dei rapporti di valore repubblicani era stato il cardine delle emissioni dei primi tre secoli dell’impero fino a che Costantino, portando a compimento quanto avviato da Diocleziano, aveva varato una più radicale riforma, basata sulla moneta d’oro.

Il solido costantiniano, mantenendo inalterato peso e titolo, costituiva un essenziale elemento di riferimento nella determinazione dei rapporti di valore a lunga distanza tra le varie parti di un impero ormai enormemente ampio, oltre che dei rapporti tra Stato e cittadino nel non trascurabile campo dell’esazione dei tributi e delle distribuzioni dei fondamentali generi di conforto.

Il solido restò il perno del sistema, dopo le crisi del III e IV secolo, quando, aumentando enormemente l’emissione del bronzo nella specie di monete sempre più piccole, si alterò il rapporto tra i metalli con progressione vertiginosa: alla fine del IV secolo un solido era equiparato a 25 libbre di bronzo, come testimonia il Codice di Teodosio. Tale equivalenza si conserva abbastanza a lungo, anche per la difficoltà ed il costo di produzione di moneta spicciola, che veniva integrata con l’utilizzo di vecchi nominali o imitazioni di diverso tipo.

Naturalmente, data la vastità dell’area interessata e le diversità etniche, culturali e politiche in essa comprese, la moneta (soprattutto nei regni barbarici di occidente), pur restando ancorata al metallo nobile ed al suo valore assoluto, si articolò in modo differente rispetto al sistema di conto, con riferimento ai nominali di argento e di bronzo, i cui valori vennero indicati espressamente sui nominali, con lettere o numerali. Erano essi multipli di denari per l’argento e di nummi per il bronzo, che consentivano non solo di semplificare i rapporti tra grandi nominali e spiccioli, ma anche di diminuire il numero di questi ultimi, ridotti ormai a piccolissimi pezzi di minimo valore.
In particolare, gli Ostrogoti, insediati nella parte di quello che era stato l’impero romano di occidente, restarono più legati alla tradizione romana, emettendo moneta anche nella stessa zecca di Roma; le loro emissioni non si differenziarono troppo dal sistema stabilito in oriente dall’imperatore Anastasio, che con la sua riforma del 498 aveva mirato a stabilizzare il rapporto oro-bronzo, con la creazione dei multipli del nummo.

Si semplificavano così, problemi di calcolo, circolazione ed emissione. I valori erano indicati con numerali espressi, secondo l’uso, in lettere greche (M=40, K=20, I=10, E=5), nelle zecche orientali di Costantinopoli, Antiochia e Nicomedia. A partire da questa riforma, la tradizionale moneta romana emessa nella pars Orientis dell’impero è definita bizantina; risale, infatti a questo periodo la diversificazione nella vita del vasto impero romano, attaccato ad est da Mussulmani e Turchi, ad ovest dalle popolazioni barbariche (Visigoti Ostrogoti, Longobardi, Merovingi, Franchi etc.).


Il solido, dunque, rimaneva al centro del sistema ed era una moneta a valore reale e, come tale, fu anche utile mezzo nelle transazioni a lunga distanza o base di riferimento per conteggi e conversioni in altra moneta; in tal senso si spiega la sigla ob (=obryzum) che starebbe ad indicare la purezza dell’oro, che unitamente al peso abbastanza stabile nel tempo (gr. 4,45) fece di questa moneta il nomisma per eccellenza, che in seguito, da Alessio I Comneno in poi, fu detto anche iperpero.

Anche i tipi si mantennero stabili: al D/ il busto dell’imperatore, senza alcuna connotazione fisionomica e al R/ la Vittoria con la croce e il globo crucigero, sostituita dopo Giustiniano dalla personificazione di Costantinopoli. Una successiva innovazione destinata a durare, tranne un breve intervallo con Maurizio Tiberio (582-602), fu la sostituzione del tipo di R/ con una croce potenziata su gradini, voluta da Tiberio II (578-582).

Il prestigio della moneta d’oro fu tale da determinare nell’impero che sotto Giustiniano si andava sempre più estendendo soprattutto in occidente la riapertura o la creazione di nuove zecche per la coniazione del solido e del tremisse, accompagnati da cospicue emissioni divisionali in bronzo che dal 538, anno della riforma di Giustiniano (527-565), recarono elementi di precisa identificazione, come datazione, indicazione di zecca ed officina o altri contrassegni a garanzia del loro valore nominale. Nel contempo si continuava ad emettere una moneta di argento, come la siliqua.

La riforma ebbe carattere unitario per tutto l’impero, ma assunse un particolare significato nella parte occidentale, a lungo occupata da Ostrogoti e Visigoti, che vi avevano lasciato la loro traccia. Il suo successo è testimoniato dall’ampia circolazione di oro e bronzo bizantino che, diffuse in tutta l’area dell’impero, si rilevano in particolare sulle più battute vie di comunicazione.
Quando l’invasione dei Longobardi in Italia provocò una vera e propria frattura nell’unità dell’impero, la conseguenza immediata fu l’apertura di una nuova zecca in Sicilia, per rendere disponibili nominali in uso nel grande impero bizantino, solidi, semissi e tremissi d’oro e folles, decanummi e pentanummi in bronzo.
Ma come sempre avviene ciclicamente, l’oro cominciò a scarseggiare, drenato fuori dagli stessi confini dell’impero non solo e non tanto dai flussi commerciali, quanto dagli stipendi e dai tributi ai barbari che, stipati ai confini, aumentavano progressivamente la loro pressione, e dall’aumento della necessità sempre crescente di denaro liquido, necessario ad un impero in espansione e per di più gravato dalla sua stessa struttura amministrativa, tanto che alla fine si ricorse alla emissione di moneta di argento nella specie dell’esagramma (così definito per il suo peso di sei scrupoli =gr. 6,7).

Tale moneta, utilizzata per il soldo militare, fu molto apprezzata anche dai mussulmani, che se ne servirono largamente, finendo con l’impoverire le casse dell’impero bizantino, al punto che con Costantino IV (668-685), si rese necessaria una contrazione delle emissioni che andò via via accentuandosi.

Parallelamente, il bronzo riduceva il suo peso: il follis pesava meno di un terzo del suo peso iniziale e le sue frazioni non furono più coniate; si ricorse a riconiazioni e tosature sempre più accentuate. Le ultime consistenti emissioni in bronzo risalgono a Costante II (641-668).

In Oriente l’espansione degli Arabi, che sconfissero i Bizantini nel 636 sotto Eraclio, ebbe una ricaduta sulla produzione di moneta; essi occuparono definitivamente la zecca di Alessandria e provocarono la chiusura di altre zecche, con l’eccezione di Costantinopoli.

 

Lo stesso accadeva anche in Occidente, dove si registrava una sempre più marcata diversificazione in aree regionali, tranne che in Italia e particolarmente in Sicilia, dove la zecca più attiva fu Siracusa, che provvedeva alla emissione del bronzo.

La diffusa monetarizzazione aveva creato sempre maggiori e più mutevoli esigenze, per soddisfare le quali, nel 721 Leone III ripristinò un precedente nominale del IV secolo, il miliarense, in argento, il cui valore corrispondeva ad 1/1000 di libbra d’oro e a 1/12 del solido e forse a 288 folles,
(come è attestato da documenti più tardi; con il tempo, poi anche questo rapporto andò cambiando, adeguandosi al variare dei prezzi) caratterizzato al D/ da un tipo epigrafico, costituito da una legenda in onore del Christus Victor.

Tale innovazione durò poco più di un secolo, fino a che Michele III nell’843 riprese la vecchia immagine del Cristo benedicente.
Le abbondanti emissioni del miliarense finirono col sostituire definitivamente le frazioni dell’oro, semplificando il sistema, che rapidamente si trovò articolato essenzialmente sul solido, il miliarense e il follis. Solo Siracusa, in occidente, continuò ad emettere le frazioni del solido, fino alla conquista della città da parte degli Arabi (878).

Tale sistema, semplificato nei tre metalli, durò abbastanza a lungo, fin quando l’avanzata dei Turchi turbò la stabilità del vasto impero bizantino, nella seconda metà dell’XI secolo: il contenuto d’oro si andava riducendo gradualmente, tanto che Niceforo Foca (963-969) fece coniare un nomisma (vecchio solido) leggero, detto tetarteròn, assieme al vecchio histàmenon, con il 70% di oro in lega; questo consentiva di aumentare il volume delle emissioni di oro e era un espediente per rimpinguare le casse dello Stato che esigeva le imposte in buona moneta, mentre effettuava i pagamenti in moneta svilita.

Nella seconda metà dell’XI secolo, con Michele VII (1071-1078), Niceforo III (1078-1081) e Alessio I Comneno (1081-1118), la percentuale di oro decadde fino al 10% , entrando in lega argento e rame e parallelamente veniva svilita la lega di argento del miliarense con sempre maggiori percentuali di rame; l’unità del sistema portava con sé anche il decadimento della lega di bronzo, nella quale aumentava la percentuale di piombo. Alessio I dové, quindi, prendere provvedimenti con una radicale riforma: creò l’iperpero, una nuova moneta di oro con i suoi divisionali e monete in elettro (una lega di oro con il 75% di argento) e billone (rame argentato), come gli antoniniani e i denari del III secolo, sempre con precisi rapporti di cambio stabiliti dallo Stato; restò immutato il rapporto tra l’oro e il bronzo (1 iperpero = 288 folles).

Tale riforma ebbe il merito di far tornare sui grandi circuiti internazionali l’oro bizantino, che infatti si mantenne abbastanza stabile, diversamente dai nominali inferiori, il cui rapporto con l’iperpero decadde rapidamente e non migliorò sotto i Comneni (fino al 1185), anche a causa dell’instabilità della situazione determinata dal continuo stato di belligeranza con Turchi, crociati e Veneziani.
Nel 1295, con Andronico II Paleologo, accanto all’iperpero comparve una buona moneta di argento sul modello del grosso veneziano, il basilikòn, che in poco più di una cinquantina di anni si sostituì all’iperpero che non fu più emesso, ma rimase come nozione di conto. Contemporaneamente veniva coiniata una moneta in bronzo, l’assarion.

Finiva, così la storia del solido, che fu definito il dollaro del medioevo, moneta cardine degli scambi internazionali, grazie alla lunga stabilità di cui aveva goduto. Erano ora presenti sui mercati le buone monete occidentali, in particolare degli stati italiani, veicolate dal determinante intervento delle Crociate.