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La moneta nel suo sviluppo storico (dal talento all’euro)

La moneta antica era a valore reale. Consisteva in un tondello metallico di peso e fino determinati, garantiti da un tipo, l’immagine apposta su almeno una delle due facce del tondello, determinante perché un “lingotto” di metallo si trasformi in moneta.
Attraverso questo tipo, infatti, un’autorità costituita e riconosciuta, sia essa pubblica, privata o religiosa garantisce il valore del “lingotto”, che viene immediatamente riconosciuto, consentendo di evitarne la verifica ad ogni passaggio di mano.
Fu questo semplice passaggio il risultato di un lungo cammino nella ricerca di un mezzo sempre più adatto alle diverse esigenze di carattere economico e tributario: scambio, retribuzione, tesaurizzazione, contribuzione.
Aristotele nelle sue opere definisce la moneta strumento di giustizia distributiva, nel senso che per il suo tramite si riescono a quantificare prestazioni e servizi altrimenti non quantizzabili (Etica) e uno strumento atto a facilitare gli scambi, soprattutto a distanza (Politica).
La moneta in età moderna ha, invece valore nominale (il suo valore è quello conferitole dall’autorità garante e corrispondente alle riserve dello Stato che la emette), pur conservando gli stessi requisiti fondamentali di misura di valore, mezzo di scambio, riserva di liquidità, mezzo di tesaurizzazione, con il supporto di norme giuridiche.
Essa è la conclusione di un processo di razionalizzazione basato sulla secolare esperienza, mai totalmente superata, del baratto e del metallo usato a peso.

Moneta greca

Fin dal suo primo apparire, la moneta si diffuse rapidamente, ma in modo diverso nei vari ambienti. Era segno di autonomia, di libertà e di sovranità statale, quindi anche piccole poleis dettero vita a non cospicue emissioni locali, quali testimoni evidenti della loro dignità statuale. Naturalmente, però, solo le monete emesse da città dotate di buona credibilità politica ed economica, che davano maggiori garanzie, erano riconosciute ed accettate lontano dal loro centro di emissione.
In taluni casi, due o più città si unirono per emettere congiuntamente moneta, una sorta di “moneta unica” di cui una prima attestazione è in un testo giuridico, un decreto ateniese del V secolo a. C., noto come decreto di Clearco, dal nome del magistrato proponente, con il quale Atene, trovandosi a capo della lega delio-attica, impose a tutte le città della lega stessa l’adozione di monete, pesi e misure ateniesi, vietando, nel contempo, di battere propria moneta di argento.
Tale misura si colloca nel complesso quadro di decreti (di Cleonimo, Tudippo, Clinia), che tendono ad organizzare l’apparato tributario della città e quindi, proprio dal suo profilo economico-monetario deriva la sua valenza politica; scritto in Atene ed inviato nei diversi centri della lega, si configura come imposizione di una città dominante, forse spinta dalla pressione economica dovuta al dilatarsi delle spese sostenute per la guerra e le opere pubbliche. L’unificazione, eliminando i costi di transazione e riducendo i rischi di manovre speculative, regolava in maniera uniforme i processi e i ritmi della circolazione, secondo un’esigenza espressa ancora da Platone quando auspica un ellenikon nomisma, nell’interesse degli utenti.
Ma forse il decreto non mirava solo all’interesse degli alleati: esso tentava anche di contrastare l’impero persiano.
Poiché nella Lega seguitava a circolare la moneta di elettro (una lega di oro ed argento, spesso di titolo variabile) di Cizico, con credito analogo alla valuta ateniese e persiana, si determinava, di fatto, una circolazione bimetallica sia sul piano dell’economia interna che dei rapporti commerciali esterni nella quale tale moneta di elettro fungeva da unità di conto. Di conseguenza, il libero corso dell’elettro celava, in realtà, il libero corso dell’oro.
Probabilmente, dunque, scopo della politica ateniese, era quello di equilibrare sul piano economico e valutario lo strapotere persiano, i cui pesi e misure erano alla base dei sistemi greco-asiatici delle città dell’Asia Minore, riuscendo, così, a penetrare ed affermarsi sia in Egitto che nella Propontide , dove le due sfere si incontravano.
Poiché la potenza di Atene dipendeva dalla sua forza economica e questa dalla forza della confederazione, è naturale la sua attenzione per tali manovre di carattere speculativo.
Tutto questo giovò, certo, ad affermare la valuta ateniese, ma soprattutto a superare la varietà e molteplicità dei sistemi monetari dell’ambiente egeo, facendo comprendere il vantaggio o la necessità di accordi economici per facilitare i rapporti e gli scambi.
La riconosciuta utilità di una omologazione di pesi e misure deve essere stata alla base di leghe monetarie e monetazioni federali che dal IV secolo si diffusero nel mondo greco.
Altri casi sono documentati, invece, solo da monete: per la lega beotica sono contraddistinte dallo scudo su una faccia e quadrato incuso con lettera specifica della città sull’altro, sostituito, poi, da un’anfora con monogrammi (Ta per Tanagra, Te per Tebe, Ko per Coroneia) .
Unite dalla peculiarità della stessa tecnica in incuso (i rovesci sono incisi in incavo, anziché essere coniati in rilievo), figurano città di Magna Grecia, quali Sibari, Metaponto, Crotone, Caulonia, Poseidonia, con emissioni databili tra la fine VI e gli inizi V secolo; forse sono unite per motivi filosofico-religiosi, con riferimento a Pitagora, o la particolarità tecnica era funzionale a una qualche precisa indicazione, ma non è evidente se si trattasse di una vera lega monetaria.
E’, invece, chiaramente una lega quella stabilita tra varie città della lega marittima dell’Asia Minore, che si uniscono a seguito della disfatta di Cnido nel 394 ad opera dell’ateniese Conone: si tratta di 8 città con propri emblemi al rovescio e la legenda sin[teke], ma al dritto figura il tipo comune dell’Eracle fanciullo che strozza il serpente. Emettono tutte monete in argento, solo Lampsaco in oro. Altre leghe note sono in Focide e in Tessaglia.
Carattere eminentemente pratico piuttosto che politico ebbe, invece, l’accordo (non una lega) databile all’anno 400, tra la città di Mitilene, nell’isola di Lesbo, e la non lontana Focea, per la coniazione ad anni alterni delle proprie monete. Si tratta, evidentemente, di un espediente per contenere le spese di gestione dell’officina monetaria e di approvvigionamento dei metalli. Le emissioni sono in elettro, quindi l'adulterazione è facile e con buon profitto. Vi sono previste pene e sanzioni per i funzionari, con una gradualità che va fino alla pena di morte per alterazioni volontarie.
Non manca, dunque, nel mondo greco una varietà di emissioni, che corrispondono alle diverse poleis sovrane, ma si affaccia sempre più netta l’esigenza di superare tanti particolarismi, con un mezzo di scambio unificato, che, di fatto, segue all’unificazione politica: Alessandro Magno esporta la nozione di moneta greca in tutti i territori conquistati e così i Diadochi dopo di lui. Ma è logica conseguenza che la moneta segua la linea politica; la nostra attuale esperienza dell’euro vuol fare della moneta unica un efficace veicolo di unità politica.

Moneta romana

Nella penisola italica, Roma si sovrappone a tutte le emissioni locali, finendo con il cancellarle; la sua moneta, l’antico denario repubblicano, rimarrà la solida base per tutto l'evo antico ed oltre, nell’Europa occidentale, proprio come Roma era stata solida base politica. Il denario fu la moneta unica del mondo unificato dai romani, pur sopravvivendo usi tendenze e, a volte, autonomie locali, soprattutto nelle zone di più radicata tradizione, lingua e cultura greca. E proprio in queste zone il solido, la nuova moneta d’oro, trasformata da Costantino sulla base del vecchio denario aureo, riuscì facilmente a radicarsi, quale moneta base dell’impero bizantino.
Denaro e soldo sono ancora oggi termini comuni nella lingua italiana, come dracma era ancora il nome della valuta greca prima dell’introduzione dell’euro.


Moneta bizantina e medioevale

Con la caduta dell'impero romano si creano due aree politiche: in quella orientale rimangono gli imperatori bizantini, in quella di occidente si succedono o coesistono i vari regni barbarici.
Il solido creato da Costantino era una moneta a valore reale, pesava 1/72 di libra = g. 4,50 ed era coniato con le stesse caratteristiche in tutte le zecche dell'impero, da Costantinopoli a Treviri, rimase pressoché immutato, con due frazioni, fino alla fine del sec. VI, con Anastasio. In quest'ultimo periodo, grazie alla riconquista dell'Africa e dell'Italia ad opera di Giustiniano torna ad essere una moneta unica (è stato definito il dollaro del medioevo). Dalla fine del secolo il peso e il fino tendono a diminuire, per arrivare al massimo verso la fine del X e l'XI, a causa delle forti spese militari ed organizzative, che tuttavia, consentirono di porre solide basi per lo sviluppo dell'economia. Alla fine dell'XI secolo il titolo è sceso al 10%, a causa non solo di spese dissennate degli imperatori, ma anche della necessità di rifornire una regione sempre più estesa e bisognosa di moneta per i diversi investimenti della produzione.
La diffusione di tale moneta è attestata dai rinvenimenti, dai documenti scritti che parlano dell'uso e dai luoghi di emissione delle imitazioni. Nelle province orientali è prevalente, quasi esclusivamente moneta di Costantinopoli, in quelle occidentali, varie zecche locali: Cartagine, Roma, Ravenna.
Oltre i confini dell'impero la moneta penetra nei regni barbarici e a nord fino alla Scandinavia. Nei ripostigli si trova associata con pezzi inglesi, carolingi, aglabiti, ostrogoti etc.
Nella parte occidentale dell'impero il quadro politico è, invece, frammentario: Visigoti, Franchi, Burgundi, Ostrogoti avevano a lungo imitato la moneta d'oro bizantina, ma con lega svilita, alla quale avevano affiancato il denaro d'argento di buona lega. Il rapporto tra i due metalli è, dunque, variabile, anche per la pluralità dei luoghi di emissione; mentre in Europa l'oro viene abbandonato, l'Italia centro-settentrionale, legata all'impero bizantino, lo mantiene in ragione di 20 per libra e con il valore di 12 denari.
Ma nel 781 Carlo Magno introduce un sistema basato sull'argento e successivamente (793-94) passa dalla libbra romana ad una più pesante, di g. 408. Il denaro è sempre = a 1/240° pesa g. 1,70. Resterà concettualmente a base di tutta la monetazione occidentale fino alla rivoluzione francese, pur variando i diversi comuni il sistema di peso e la lega.

Al sud, la conquista araba unifica l'emissione dell'oro e radica l'uso del tarì, moneta che veicola la conquista sveva, essendo il perno dell'economia meridionale e quando Federico II nel 1231, inizierà l'emissione della sua moneta d'oro che rievoca nel tipo e nel nome, augustale, la moneta romana resterà nell'uso, a base di transazioni ed offerte. L'augustale fu moneta di grande prestigio e di forte valenza politica e rappresentativa, g. 5,31 con 4,54 di au. Accanto a questa moneta a valenza propagandistica, Federico aveva, però la forza di imporre denari di lega sempre più svilita e imponeva di accettare, con evidente valore di moneta creditizia, pezzetti di cuoio, che restituiva in Augustali, dopo la presa di Faenza.

Intanto i piccoli Stati italiani del centro-nord nella loro autonomia emettono a loro volta buona moneta d'oro nel corso del XIII secolo, affiancandola alle correnti emissioni di argento, così Firenze, Genova e Venezia, che monopolizzeranno i mercati con la loro moneta.

Moneta moderna

Naturalmente le emissioni erano condizionate dalla disponibilità sul mercato di metallo prezioso, che veniva offerto dalla conquista di nuovi territori: così la via dell'Africa, percorsa soprattutto da genovesi e portoghesi, o la via delle Americhe, percorsa soprattutto dagli Spagnoli, che portarono sul mercato notevoli quantità di oro e di argento (Potosì).
In Francia ed in Germania arrivava, dunque, l'oro dai porti atlantici, che provocò l'emissione dello scudo d'oro, detto del sole, per l'astro che contraddistingueva le emissioni al D/ su uno stemma con i gigli di Francia (al R/ croce ornata da gigli). Dal 1508 a Genova, 1521 a Milano e di seguito a Venezia, Firenze, Ferrara, Siena e finalmente a Roma dove il Papa Paolo III affidò al Cellini la realizzazione del conio per gli scudi e a Napoli con Carlo V.
Si creò, così, una sorta di unione monetaria a carattere internazionale. Non cessarono però i tormentati percorsi della moneta che si doveva adeguare alle varie situazioni locali che si intrecciarono con i problemi del credito e del cambio.
Nel corso del '700 numerose furono ancora le riforme e gli aggiustamenti per regolare i rapporti tra monete in argento piccola e grossa (Milano, Venezia e Genova tra 31 e 37 g , Tirolo, Boemia tallero etc.). Durante la rivoluzione francese alla lira si affiancano decimi e centesimi e nacque il franco; tale sistema venne esportato dovunque, tranne che in Inghilterra, dando luogo ad una sorta di sistema di conto unitario.

Moneta contemporanea

Nel 1865 Belgio, Italia, Francia e Svizzera, cui poi si associò la Grecia, si unirono nella Unione latina, lega che mirò a fissare una unità monetaria comune che prefigura l'ecu. La moneta base prende il nome di franco germinale (dal mese in cui tale unione si costituì, marzo-aprile); la lega è a 835/1000 ag e assieme alle monete d'oro, i franchi hanno corso per tutto il territorio dell'unione; altri Stati, pur senza aderire all'Unione, adottarono sistemi identici. Alcuni come la Svezia, l'Austria e l’Ungheria coniano pezzi d'oro a doppia denominazione, secondo l’unità nazionale e il franco. Ma anche questo fu di breve durata. la I guerra mondiale costringe i belligeranti ad emettere gran quantità di moneta a corso forzoso. Il tasso di inflazione varia da Stato a Stato e nel 1925 si prende atto che l'Unione latina è morta. Ciononostante altri paesi come la Polonia e l'Albania allineano il loro sistema a quello dell'Unione.


La moneta unica

Nel corso della storia si vede, dunque, come la moneta naturaliter tenda ad uniformarsi, superando i localismi più vari, per facilitare gli scambi e i sistemi di valutazione tra stati e nazioni, per poi cedere nuovamente ai localismi, che non sono rigurgiti di singole identità nazionali, ma hanno ragioni profonde nelle diverse situazioni storiche, in fattori politici ed interessi contingenti, ma non per questo meno determinanti. Ne sono esempi “storici” i grossi pani di rame egeo-cretesi, diffusi dall'ambiente cipriota all'occidente mediterraneo fin dal II millennio a. C., come le tante piccole leghe monetarie della Grecia peninsulare ed insulare fin dal V sec. a .C. (beotica, delio-attica), le emissioni provinciali in oriente come in occidente durante l’impero romano, o le ricche emissioni delle città medioevali.
Le unioni più forti sono di carattere politico, con un forte potere accentratore: ne è esempio lo stato romano, che impose il denario per almeno 5 secoli. Il monolitico impero bizantino fece del suo solido il “dollaro” del Medio Evo (all'epoca in cui fu così definito non si parlava ancora di Euro), ma aveva dalla sua il fascino del metallo giallo con la forza del valore intrinseco, che la rendeva un titolo di credito immediatamente esigibile: come si ridusse il fino, la fiducia nella moneta venne meno e anche quel sistema crollò.
L'Unione Latina pose di nuovo su basi teoriche l'accordo monetario.
L'idea della moneta unica, dunque, non è nuova: da un'esigenza naturale ad unificare i mezzi dello scambio si è passati attraverso l'esperienza teorica.
E' importante avere questa consapevolezza, per evitare analoghi processi di disfacimento degli accordi, nel rispetto delle singole realtà per la ricerca comune di un conveniente contemperamento delle esigenze.