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Diocleziano

 

C. Valerius Diocle, più noto come Diocletianus, attivissimo in tutti i settori dello Stato, attuò un’importante riforma costituzionale, tendente a dare stabilità all’impero attraverso un avvicendamento di governo fondato sulla scelta.

Si associò nelle responsabilità M. Valerio Massimiano, pannone cui conferì il titolo di augusto e l’appellativo di Herculius, mentre riservò a sé quello di Iovius, indiscutibilmente più prestigioso e a Giove sono numerosi richiami nei R/ sia diretti, che attraverso la perpetua Felicitas.

Come si sa, le competenze furono divise tra oriente e occidente; qualche anno più tardi, nel 293, fece affiancare a Massimiano Costanzo Cloro come Cesare, scegliendo Galerio come proprio; le emissioni con il tipo del Comitatus testimoniano il consolidato vigore della compagine. Come i tempi richiedevano, lo Stato fu rifondato su nuove basi.


Virtus militum

Ma, come Augusto, Diocleziano fu un innovatore nella conservazione: per quanto concerne l’economia e la finanza, rimase nella linea riformatrice tracciata da Aureliano ma restaurando il vecchio sistema tutto romano disegnato da Augusto: fu l’ultimo difensore del denario di argento, ma il primo sostenitore della centralità dell’oro (il futuro solido di Costantino).

Molto frequenti sono i tipi di Providentia augg e virtus militum, in cui i tetrarchi celebrano un sacrificio davanti ad una città fortificata, forse un campo militare, con 2 o 4 torri, emessi in tutte le zecche dell’impero, da oriente ad occidente.

Accrebbe il valore nominale del denario, raddoppiandone il valore, come si evince dal testo di un’iscrizione mutila rinvenuta in Afrodisias di Caria e datata al settembre 301. Si tratta di una constitutio imperiale, lettera scritta dall’imperatore ai governatori delle province, dalla quale si evince che alle monete era attribuito un valore doppio del precedente e a questo si dovevano attenere i debitori sia verso lo Stato che verso i privati.

Ma evidentemente tutto ciò non fu sufficiente a contenere i prezzi perché solo tre mesi più tardi Diocleziano fu costretto ad emanare un editto, il famoso edictum de praetiis rerum venalium, un vero e proprio calmiere con cui si fissavano i prezzi massimi delle merci.

Dopo una prima riduzione del numero delle zecche attive, ne fissò poi il numero a 15: Lugdunum, Treviri, Londinium, Aquileia, Roma, Ostia, Carthago, Siscia, Serdica, Thessalonica, Eraclea, Nicomedia, Cyzicus, Antiochia, Alexandria d’Egitto, fino a quel momento zecca greca che si chiude e si riapre come romana.

Dal punto di vista tipologico le effigi sono banali, torna il genius populi romani, a rafforzare il senso dell’unità nell’impero diviso; la sacra moneta urbis augg et caess nn a Roma, Ticinum Aquileia e Siscia, 54(592) tende allo stesso scopo, o forse vuol ricordare e confermare la nuova moneta nata dalla riforma.

Ormai i ritratti sono approssimativi e certo meno fisionomici dei precedenti, spesso si accompagnano a leggende pertinenti alle autorità dell’altra pars imperii.
Grande attenzione è data alle regioni periferiche, ma di fiere tradizioni: dalla Britannia, a Cartagine, l’Illirico.

 

In tutto questo, come dimenticare la celebrazione dei vicennalia (voti augurali per lo svolgimento del prossimo ventennio) del vecchio augusto, ormai non lontano dall’abdicare?